I'm happy to welcome Andrea Vannucci back to the blog with a very perceptive (and depressing) analysis of the work of the "ten wise men" written on 13 April.
Le osservazioni e le proposte contenute nei documenti conclusivi diffusi ieri dai gruppi di lavoro istituiti dal Presidente della Repubblica meritano di essere lette. Esse appaiono chiaramente - a chiunque abbia anche solo una modestissima conoscenza dei fatti politici, sociali ed economici - largamente e saldamente fondate nelle argomentazioni, lucide e precise nella diagnosi, ottimamente focalizzate nell’indirizzamento verso le azioni risolutive necessarie.
Su alcuni punti ognuno potrebbe magari trovare qualche spunto di parziale perfettibilità, o divergenza di opinione (io ad esempio avrei sperato di leggervi qualcosa di più in termini di limitazione generale del carico fiscale generale e individuale, e magari qualche indicazione più audace in materia di limitazione della professionalizzazione della politica e regolamentazione dei conflitti di interesse, temi questi appena accennati).
Ma è fuor di dubbio che le circa settanta pagine redatte in dieci giorni dai dieci “saggi” contengono indicazioni concrete, fattive, generalmente e largamente condivisibili. E non sorprende (né sminuisce l’autorevolezza dei dieci “saggi”) riconoscere in queste stesse osservazioni molti spunti già espressi da numerosi eminenti giuristi, economisti, sociologi, politologi, e perfino spesso da tanti, tantissimi ben più modesti e normali cittadini di buon senso e dotati di sensibilità civile (compresi noi stessi), che responsabilmente si interessano della vita delle nostra nazione.
Nell’introduzione di entrambi i documenti, i dieci “saggi” insistono a precisare che il loro contributo non vuole essere un programma politico, né sostituirsi alle funzioni e prerogative delle istituzioni costituzionali competenti per le materie trattate. Ma proprio questa precisazione evidenzia piuttosto il contrario: i due documenti, così meticolosi, precisi ed efficaci, evidentemente colmano una grave carenza di indirizzo programmatico da parte delle istituzioni, sia considerate singolarmente che nella loro collegialità.
Da queste constatazioni deriva quindi una riflessione piuttosto amara e preoccupante: come mai un esercizio così chiaro, ben strutturato, esaustivo e ponderato, di evidente fondamentale indirizzo politico, è stato condotto oggi in una modalità così assolutamente straordinaria? Prodotto da un organo totalmente avulso all’architettura istituzionale, convocato secondo modalità del tutto irrituali da un Presidente alla fine del mandato? Con il contributo di persone selezionate secondo criteri del tutto discrezionali, che hanno lavorato in logica emergenziale, in appena dieci giorni? Perché nulla di neanche appena simile si è prodotto invece come normale e fisologica espressione di quelle istituzioni (camere, governo, organi consultivi, magistrature, autorità, sia da sole che in concorso fra loro) che dovrebbero normalmente e fisiologicamente, garantire il prezioso servizio di guidare la vita nazionale?
Cercare una risposta a questa domanda è inquietante, e ci porta a considerare quanto profonda e diffusa è la malattia che ha pervaso le nostre istituzioni, cristallizzate nelle loro ormai croniche debolezze, capillarmente inquinate dalla presenza di troppe persone mediocri e meschine, e condizionate da organizzazioni corrotte nelle loro funzioni e finalità, che ne hanno progressivamente paralizzato le normali funzioni.
Purtroppo, il buon lavoro fatto dai “saggi” viene consegnato proprio a queste istituzioni, a queste persone, a queste organizzazioni; chiaramente poco capaci di provvedere alla tutela dei nostri diritti di cittadinanza, di assicurare la costruzione del nostro benessere, di costruire responsabilmente il nostro futuro. Come un messaggio in bottiglia lanciato da un naufrago, il documento prodotto oggi al Quirinale ricorda più un disperato appello rivolto ad interlocutori disinteressati e distratti, che non un utile memorandum posto all’attenzione di chi dovrebbe fattivamente dargli adempimento.
Fra pochi giorni il Presidente Giorgio Napolitano terminerà il suo incarico, avendo lasciato alla Nazione quest’ultimo memento. Io guardo ai partiti e ai loro leader, ai burocrati inetti che da decenni raccontano che faranno cose di cui evidentemente non sono capaci, alla schiera di sostenitori ossequienti che alimentano il potere di questi, nella meschina e inane speranza di trarne un vantaggio personale. E non riesco proprio a immaginare chi, fra questi tanti da cui ahinoi dipende il nostro futuro, leggerà il documento redatto dai “saggi” con un qualche sincero interesse e capacità di agire.
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